La celiachia è caratterizzata da un’infiammazione cronica dell’intestino tenue, che comporta una distruzione della mucosa di questo tratto dell’intestino.
Che cos’è la celiachia?
La celiachia o malattia celiaca è una patologia che colpisce circa l’1% dell’intera popolazione mondiale, con una prevalenza maggiore nel sesso femminile (tre volte più frequente rispetto agli uomini). Malgrado sia stata tradizionalmente considerata una patologia che esordisce prevalentemente nell’età infantile, è oggi noto che la diagnosi arriva spesso in età adulta, specialmente quando la malattia si presenta con manifestazioni atipiche e talora sfumate, causando un ritardo nella diagnosi.
Questa infiammazione è causata da una reazione immunitaria contro la gladina. Quest’ultima è una delle due proteine dalla cui unione si origina il glutine. Oltre al processo infiammatorio, vi è una reazione dell’organismo contro un suo stesso enzima, detta anche reazione autoimmune, la transglutaminasi. La gliadina è presente in alcuni cereali quali grano, orzo, farro, segale, avena e kamut che sono contenuti in una grande varietà di alimenti, tra i quali il pane, la pizza, la pasta, i biscotti e simili.
Le conseguenze della celiachia
In seguito alla reazione infiammatoria ed autoimmunitaria, le pareti dell’intestino, che normalmente sono formate da miliardi di villi, vengono alterate. I villi sono piccole strutture sottili e allungate che formano tra loro delle anse, aumentando grandemente la superficie assorbente dell’intestino. Questi tendono ad atrofizzarsi e scomparire. Tutto ciò compromette la capacità di assimilazione di nutrienti come ferro e altri minerali, vitamine, zuccheri, proteine, grassi, etc. da parte dell’intestino tenue.
Chi è a rischio celiachia?
È oggi nota l’esistenza di una predisposizione genetica a sviluppare questa patologia, legata alla presenza di specifiche combinazioni di geni (HLA-DQ2 e HLA-DQ8) coinvolti nel funzionamento del nostro sistema immunitario. Per questi motivi, esiste un rischio aumentato di malattia nei parenti di primo grado e supera il 75% nei gemelli omozigoti.